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Le (vere) cause della depressione

Le (vere) cause della depressione
Negli anni '70 l'American Psychiatric Association pubblicò per la prima volta un manuale che descriveva, in dettaglio, tutti i sintomi dei diversi disturbi mentali in modo che potessero essere identificati e trattati allo stesso modo in tutti gli Stati Uniti.

Venne chiamato manuale diagnostico e statistico, il DSM (giunto ormai alla quinta edizione). 

Sempre in quel periodo, alcuni studi mostrarono come, nei pazienti depressi, fosse presente una carenza di serotonina, un neurotrasmettitore che serve a far comunicare tra loro le cellule del cervello. La serotonina, detta anche la molecola della felicità, risultava invece molto presente in soggetti sereni, felici ed attivi.

Gli psichiatri dichiararono, allora, che la depressione fosse dovuta e causata da una carenza di serotonina nel cervello.

Tornando al DSM e seguendo le linee guida in esso contenute, per poter diagnosticare un disturbo mentale è necessario che siano presenti, nell'individuo sottoposto a valutazione, un certo numero di sintomi descritti in un elenco e che gli stessi siano presenti da alcune settimane (questo l'elenco per la depressione).

Il problema si pose quando i medici di famiglia, cui si rivolgevano i pazienti depressi, facevano notare che molti di essi quando stavano vivendo un lutto mostravano i sintomi colà elencati. Gli psichiatri inserirono, quindi, "l'eccezione del dolore" (the grief exception) spiegando che, in caso di lutto, i sintomi potevano essere presenti anche per un anno, senza per questo diagnosticare una depressione. Questa eccezione si scontrava però con la questione legata alla serotonina: se un soggetto depresso era carente di serotonina, come spiegare, invece, la depressione dopo un evento luttuoso? Oppure dopo la perdita del lavoro? Oppure per chi un lavoro ce l'aveva ma non ci si trovava bene e rimaneva comunque lì bloccato per anni? Oppure per chi era senza amici?

L'eccezione del dolore aveva creato una contraddizione nell'affermazione che la depressione fosse dovuta ad un difetto di fabbrica del cervello ovvero alla carenza di serotonina. Per alcuni psichiatri la soluzione fu quella di aumentare il dosaggio del farmaco ai pazienti che continuavano ancora a sentire il dolore. Ma il dolore, dopo un periodo di sedazione, ritornava e le persone erano nuovamente depresse. 

A questo quadro è utile aggiungere il contributo dato dal professor Irving Kirsch dell'Università di Harvard (ne ho parlato già qui) il quale, per farla breve, si accorse che le società farmaceutiche, le quali sono solite finanziare continue ricerche per valutare l'efficacia dei farmaci, non pubblicavano quelle ricerche in cui i risultati andavano contro la dimostrazione dell'efficacia degli antidepressivi. Per fare un esempio: in uno studio, il farmaco fu somministrato a 245 pazienti, ma la casa farmaceutica pubblicò i risultati solo per 27 di essi. Quei 27 pazienti erano quelli per cui il farmaco sembrava funzionare. 

Emerse che un'alta percentuale di persone (tra il 65% e l'80%) che fanno uso di antidepressivi sono di nuovo depresse entro un anno dall'inizio della cura e dalla remissione dei sintomi. 

Ciò ha portato il professor Kirsch a porre una domanda più basilare: su cosa è basata l'affermazione che la depressione sia causata dalla carenza di serotonina? Sembrerebbe davvero che il puntare tutto sulla mancanza di serotonina non sia stato altro che un'ottima strategia di marketing. 

Puntare tutto sulla ricerca della causa organica (la carenza di serotonina, appunto) ha spostato l'attenzione a quello che, come esseri umani, sappiamo da sempre.
Sappiamo, ad esempio, che ogni essere umano ha bisogni fisici fondamentali: cibo, acqua, riparo, aria pulita. 

Allo stesso modo, tutti gli esseri umani hanno bisogni psicologici di base. 

Abbiamo bisogno di sentirci di appartenere: ad una famiglia, ad un gruppo, ad una comunità.
Abbiamo bisogno di sentirci valutati positivamente e apprezzati: dobbiamo sentirci bravi in ​​qualcosa. 
Abbiamo bisogno di sentire che abbiamo un futuro sicuro, delle certezze per quanto riguarda un lavoro, una relazione affettiva, una casa.

Se ci pensi un attimo, appare evidente come nella società moderna e nella nostra cultura, questi bisogni non siano del tutto soddisfatti. E' come se fossimo scollegati dalle cose di cui davvero necessitiamo e questa profonda disconnessione sta portando a questa epidemia di depressione (e ansia) intorno a noi.

Allora, che fare?
Possiamo continuare a focalizzarci sulla chimica del nostro cervello e cercare di cambiarla aumentando, ad esempio, la serotonina. Oppure, possiamo focalizzarci sul trovare una maniera per risolvere il problema che causa la depressione.

La psicoterapia fa proprio questo: aiuta a risolvere i problemi che sono alla base della depressione (e dell'ansia) e aiuta a modificare quegli schemi di pensiero appresi nell'infanzia che permettono ai sintomi depressivi di continuare a manifestarsi.

In conclusione: dobbiamo cambiare la visione che abbiamo della depressione (e dell'ansia) per capire cosa esse siano davvero. Di fronte ad una persona che soffre di depressione dobbiamo spiegarle che essere depressi non significa essere pazzi. La depressione è il segnale che i propri bisogni psicologici non vengono soddisfatti. E' una forma di dolore. E per superare la depressione bisogna ascoltare questo segnale e questo dolore. 

Se sei depresso e ansioso, non sei una macchina con parti malfunzionanti. 
Sei un essere umano con bisogni insoddisfatti.


Fonti
Is everything you think you know about depression wrong?, Johann Hari, The Guardian, 07 gennaio 2018 (articolo in lingua inglese);
Le vere cause della depressione sono state scoperte e non sono quelle che credevi, Johann Hari, HuffPost, 29 gennaio 2018;
Lost Connections, Johann Hari, 2018 (libro - in lingua inglese);
Tutto quello che pensate di sapere sulla dipendenza è sbagliato, Johann Hari, TED (videoconferenza in lingua inglese con sottotitoli in italiano);
* Quello che la serotonina non spiega, Valeria Ugazio, in Terapia Familiare, n. 94/2010, pp. 7-20.







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Post scritto da Leonardo Paoletta

Psicologo Monza
Leonardo Paoletta.
Psicologo e psicoterapeuta Monza.
Sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed Analista Transazionale.

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