Quale psicoterapia è davvero efficace?
Un dato che sembrava assodato da anni è stato recentemente smentito dalle recenti ricerche: parlo della (presunta) maggiore efficacia delle psicoterapie definite evidence based rispetto alle psicoterapie psicodinamiche (che derivano dagli studi iniziali della psicoanalisi e da questa si sono poi differenziate).
Le psicoterapie evidence based sono, ad esempio, la psicoterapia cognitivo comportamentale (BCT) e la psicoterapia breve strategica.
La BCT fin dalla sua nascita ha sempre posto molta attenzione alla verifica empirica dei risultati, utilizzando una corretta metodologia scientifica. E' stato proprio questo il cavallo di battaglia dei sostenitori della BCT, da subito capaci di dimostrarne l'efficacia dati alla mano.
Di fatto le cose non stanno proprio così.
Il dato sull'efficacia sembra dovuto sia al fatto che le BCT si prestano meglio al vaglio della ricerca empirica, sia al maggior numero di studi compiuti su di esse. Proprio per alcuni limiti insiti nella metodologia scientifica (come la difficoltà di randomizzazione e standardizzare degli esiti di trattamenti che durano a lungo termine; la difficoltà di reperire un gruppo di controllo) le evidence based si sono concentrate sulle terapie, soprattutto brevi, maggiormente focalizzate alla risoluzione dei sintomi e quindi facilmente verificabili.
D'altronde, gli studi sull'efficacia della psicoanalisi e delle teorie psicodinamiche erano del tutto assenti in passato ed ancora oggi risultano essere meno numerosi perché, purtroppo, gli studiosi di queste discipline hanno snobbato a lungo la necessità di una verifica empirica dei risultati conseguiti con questo tipo di intervento.
Bisogna aspettare il 2010 quando Shedler, professore di Psichiatria presso l'Università del Colorado, porta a conoscenza dell'opinione pubblica i dati emersi da un ottimo ed interessante lavoro di meta-analisi (pubblicato negli Stati Uniti sulla rivista American Psychologist, organo dell’American Psychological Association).
L'importanza di tale lavoro è già stata sottolineata da Migone, direttore della rivista Psicoterapia e Scienze umane, in un interessante (seppur lungo) articolo dal titolo "L'ennesima morte di Freud".
Recentemente, anche Raggi, in un articolo più snello e divulgativo rispetto al precedente, dal titolo "L’efficacia della psicoanalisi: Freud & Jung avevano ragione?", evidenzia molto bene come, negli ultimi anni, stia aumentando sempre di più l'attenzione degli studiosi della psicoanalisi verso la validazione scientifica dei percorsi di cura.
Ma cosa scrive Shedler?
Egli mette in evidenza come le psicoterapie psicodinamiche siano efficaci quanto quelle evidence based e in alcuni casi anche in misura maggiore di queste. Inoltre, confronta gli effetti della psicoterapia psicodinamica con quelli della terapia farmacologica (in particolare per la depressione, come già evidenziato in questo articolo) arrivando ad affermare che quest'ultima risulta essere meno efficace della prima.
Nello specifico, Shedler dimostra che l’effect size (cioè la "dimensione del risultato”) delle terapie psicodinamiche varia da 0.69 a 1.46, mentre quella delle CBT varia da 0.58 a 1.0; inoltre, l’effect size dei farmaci antidepressivi nella depressione è estremamente più basso, varia da 0.17 a 0.31.
Aggiunge, infine, che dopo una psicoterapia psicodinamica vi sarebbero anche meno ricadute e il miglioramento aumenterebbe nel tempo, come se si mettessero in moto processi psicologici che evolvono autonomamente.
Questo excursus non vuole essere finalizzato alla mera contrapposizione tra uno o l'altro modello di intervento per affermare quale sia più efficace e più valido. Rischierebbe di risultare una discussione fuorviante ed inutile.
L'obiettivo è quello di rispondere a quelle persone che, regolarmente, contattano uno psicologo per chiedere se il suo modello di intervento sia la BCT o un altro evidence based, dicendosi interessati solo a questi perché: "ho letto che solo la BCT funziona"; "ho letto che le evidence based sono terapie brevi"; "sono rimasto impressionato dalle statistiche sulla loro efficacia".
Sarebbe più opportuno comprendere, come ben descritto dal collega Raggi, che da un lato l'utenza che si rivolge ad uno o l'altro tipo di psicoterapia effettua da sé una selezione a monte in base alle proprie motivazioni e che dall'altro i percorsi focalizzati sulla risoluzione del sintomo funzionano bene soprattutto per certe tipologie di disturbi e meno bene per altre.
Infine, sarebbe utile tenere a mente che le psicoterapie psicodinamiche (come l'analisi transazionale) risultano essere ugualmente efficaci delle altre. Pagano un certo ritardo di diffusione nell'opinione pubblica, divario che, però, stanno lentamente recuperando.
L'Analisi Transazionale (AT) ha anch'essa origine dalla psicoanalisi. Berne, negli anni Sessanta era in formazione come psicanalista, quando decise di allontanarsi da essa.
Attualmente l'AT prevede rigorosi step formativi con continui esami in itinere e la sua flessibilità metodologica permette l'integrazione con diverse tecniche mutuate da altri approcci.
Nella pratica clinica l'AT si presta bene ad intervenire su disturbi lievi, moderati e gravi. Con interventi individuali, di gruppo e di coppia; lavorando con bambini, adolescenti e adulti.
Permette di intervenire a diversi livelli della personalità degli individui: l'AT permette di attuare interventi finalizzati alla risoluzione del sintomo in tempi circoscritti (come nelle terapie succitate) lavorando, ad esempio, prettamente sullo Stato dell'Io Adulto; oppure permette l'intervento ad un livello più profondo della personalità, per giungere ad una vera e propria ristrutturazione di essa (come nella psicoanalisi).
Riferimenti
Alessandro Raggi, L’efficacia della psicoanalisi: Freud & Jung avevano ragione?, Medicitalia.it
Le psicoterapie evidence based sono, ad esempio, la psicoterapia cognitivo comportamentale (BCT) e la psicoterapia breve strategica.
La BCT fin dalla sua nascita ha sempre posto molta attenzione alla verifica empirica dei risultati, utilizzando una corretta metodologia scientifica. E' stato proprio questo il cavallo di battaglia dei sostenitori della BCT, da subito capaci di dimostrarne l'efficacia dati alla mano.
Di fatto le cose non stanno proprio così.
Il dato sull'efficacia sembra dovuto sia al fatto che le BCT si prestano meglio al vaglio della ricerca empirica, sia al maggior numero di studi compiuti su di esse. Proprio per alcuni limiti insiti nella metodologia scientifica (come la difficoltà di randomizzazione e standardizzare degli esiti di trattamenti che durano a lungo termine; la difficoltà di reperire un gruppo di controllo) le evidence based si sono concentrate sulle terapie, soprattutto brevi, maggiormente focalizzate alla risoluzione dei sintomi e quindi facilmente verificabili.
D'altronde, gli studi sull'efficacia della psicoanalisi e delle teorie psicodinamiche erano del tutto assenti in passato ed ancora oggi risultano essere meno numerosi perché, purtroppo, gli studiosi di queste discipline hanno snobbato a lungo la necessità di una verifica empirica dei risultati conseguiti con questo tipo di intervento.
Bisogna aspettare il 2010 quando Shedler, professore di Psichiatria presso l'Università del Colorado, porta a conoscenza dell'opinione pubblica i dati emersi da un ottimo ed interessante lavoro di meta-analisi (pubblicato negli Stati Uniti sulla rivista American Psychologist, organo dell’American Psychological Association).
L'importanza di tale lavoro è già stata sottolineata da Migone, direttore della rivista Psicoterapia e Scienze umane, in un interessante (seppur lungo) articolo dal titolo "L'ennesima morte di Freud".
Recentemente, anche Raggi, in un articolo più snello e divulgativo rispetto al precedente, dal titolo "L’efficacia della psicoanalisi: Freud & Jung avevano ragione?", evidenzia molto bene come, negli ultimi anni, stia aumentando sempre di più l'attenzione degli studiosi della psicoanalisi verso la validazione scientifica dei percorsi di cura.
Ma cosa scrive Shedler?
Egli mette in evidenza come le psicoterapie psicodinamiche siano efficaci quanto quelle evidence based e in alcuni casi anche in misura maggiore di queste. Inoltre, confronta gli effetti della psicoterapia psicodinamica con quelli della terapia farmacologica (in particolare per la depressione, come già evidenziato in questo articolo) arrivando ad affermare che quest'ultima risulta essere meno efficace della prima.
Nello specifico, Shedler dimostra che l’effect size (cioè la "dimensione del risultato”) delle terapie psicodinamiche varia da 0.69 a 1.46, mentre quella delle CBT varia da 0.58 a 1.0; inoltre, l’effect size dei farmaci antidepressivi nella depressione è estremamente più basso, varia da 0.17 a 0.31.
Aggiunge, infine, che dopo una psicoterapia psicodinamica vi sarebbero anche meno ricadute e il miglioramento aumenterebbe nel tempo, come se si mettessero in moto processi psicologici che evolvono autonomamente.
Questo excursus non vuole essere finalizzato alla mera contrapposizione tra uno o l'altro modello di intervento per affermare quale sia più efficace e più valido. Rischierebbe di risultare una discussione fuorviante ed inutile.
L'obiettivo è quello di rispondere a quelle persone che, regolarmente, contattano uno psicologo per chiedere se il suo modello di intervento sia la BCT o un altro evidence based, dicendosi interessati solo a questi perché: "ho letto che solo la BCT funziona"; "ho letto che le evidence based sono terapie brevi"; "sono rimasto impressionato dalle statistiche sulla loro efficacia".
Sarebbe più opportuno comprendere, come ben descritto dal collega Raggi, che da un lato l'utenza che si rivolge ad uno o l'altro tipo di psicoterapia effettua da sé una selezione a monte in base alle proprie motivazioni e che dall'altro i percorsi focalizzati sulla risoluzione del sintomo funzionano bene soprattutto per certe tipologie di disturbi e meno bene per altre.
Infine, sarebbe utile tenere a mente che le psicoterapie psicodinamiche (come l'analisi transazionale) risultano essere ugualmente efficaci delle altre. Pagano un certo ritardo di diffusione nell'opinione pubblica, divario che, però, stanno lentamente recuperando.
L'Analisi Transazionale (AT) ha anch'essa origine dalla psicoanalisi. Berne, negli anni Sessanta era in formazione come psicanalista, quando decise di allontanarsi da essa.
Attualmente l'AT prevede rigorosi step formativi con continui esami in itinere e la sua flessibilità metodologica permette l'integrazione con diverse tecniche mutuate da altri approcci.
Nella pratica clinica l'AT si presta bene ad intervenire su disturbi lievi, moderati e gravi. Con interventi individuali, di gruppo e di coppia; lavorando con bambini, adolescenti e adulti.
Permette di intervenire a diversi livelli della personalità degli individui: l'AT permette di attuare interventi finalizzati alla risoluzione del sintomo in tempi circoscritti (come nelle terapie succitate) lavorando, ad esempio, prettamente sullo Stato dell'Io Adulto; oppure permette l'intervento ad un livello più profondo della personalità, per giungere ad una vera e propria ristrutturazione di essa (come nella psicoanalisi).
Riferimenti
Alessandro Raggi, L’efficacia della psicoanalisi: Freud & Jung avevano ragione?, Medicitalia.it
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Post scritto da Leonardo Paoletta
Psicologo e psicoterapeuta Monza.
Sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed Analista Transazionale.