Caso clinico - Disturbo depressivo persistente (distimia)
Matteo è uomo di 35 anni che quando si presenta in studio mostra un atteggiamento ambivalente: dichiara subito di nutrire scarsa fiducia nei confronti di un percorso psicologico seppur sia stato egli stesso a chiamarmi per fissare un appuntamento.
In effetti, il disturbo depressivo persistente, a differenza del disturbo depressivo (anche di quello maggiore) ha la caratteristica di essere, appunto, cronico: l’individuo distimico non ricorda un evento scatenante del suo malessere, egli si descrive come una persona che "è sempre stata così”. Per tale motivo Matteo nutriva scarsa fiducia che le cose potessero cambiare: egli, a differenza di Armando, non aveva una chiara visione di se stesso prima della (e quindi, senza la) depressione.
La depressione l'aveva sempre accompagnato.
Matteo vive con i genitori ed un fratello più giovane di 7 anni. Ha un lavoro precario come operaio in un’industria farmaceutica. Riporta come le sue giornate passino senza che egli sperimenti piacere, non ha interessi specifici, non ha molti amici all'infuori di un paio di amici di infanzia che frequenta saltuariamente. Ha avuto in passato, quando aveva 23 anni, una relazione con una ragazza sua coetanea che però è terminata abbastanza rapidamente. Le ragioni che l’hanno fatto decidere di iniziare una psicoterapia hanno a che fare con il suo livello di ansia che negli ultimi mesi ha raggiunto per lui livelli insopportabili. Afferma di esser sempre stato una persona ansiosa ma non gli era mai capitato che questa, l’ansia, lo accompagnasse dal mattino a sera per tutti i giorni della settimana.
Sta seguendo una cura farmacologica a base di ansiolitici ed un antidepressivo che però, afferma, non gli stia portando i benefici sperati. Infatti, dopo alcune settimane, deciderà di interromperla.
Matteo è sempre stato un bambino molto sensibile e molto solo: i suoi erano spesso lontani per lavoro ed egli passava molto tempo dai nonni materni verso i quali non ha mai mantenuto un rapporto affettuoso: li descrive eccessivamente rigidi. Ha sempre avuto pochi amici ed a scuola era uno studente dal rendimento sufficiente.
La terapia con Matteo è risultata essere molto provante e difficile: egli aveva forti resistenze al cambiamento ed una spiccata capacità di smontare ogni tipo di intervento: voleva dimostrare che non ci fosse proprio nulla che potesse sollevarlo dal suo stato. Eppure, non ha mai saltato una sola seduta. Perché, in fin dei conti, Matteo cercava in me un alleato a quella parte di sé che non voleva arrendersi: a 35 anni era ancora troppo giovane per rinunciare a vivere.
Così via via, dopo alcuni mesi, ha iniziato ad apportare piccoli cambiamenti alla sua vita mantenendo, comunque, il suo atteggiamento sarcastico e svalutante. Ha ripreso a giocare a calcetto al giovedì, si è iscritto ad un gruppo Facebook che si ritrova regolarmente per serate al cinema. Piccoli cambiamenti che non hanno modificato il suo umore e la sua fiducia nel futuro. Ma erano, comunque, dei cambiamenti.
Dopo circa 10 mesi, ha cominciato a sentire dentro sé una forte rabbia: l’ha riconosciuta come la fonte del suo sarcasmo, delle sue battute caustiche, dell’autodisprezzo sempre molto acceso. Ed ha iniziato a dirigerla fuori di sé diventando più irascibile.
Col passare delle settimane ha cominciato ad accorgersi di quanto la sua solitudine vissuta da bambino l’abbia condizionato facendogli credere di non meritare altro che quella. Si è accorto che si è sempre autoaccusato della lontananza dei suoi genitori, come se nella sua testa di bambino, egli abbia voluto credere che essi gli stavano lontani perché arrabbiati con lui o da egli delusi.
Ha iniziato così a vedere la sua storia con occhi diversi. Ed ha smesso di disprezzare la terapia e, soprattutto, se stesso.
Follow up
A distanza di 18 mesi dal primo incontro, Matteo ha iniziato a frequentare una ragazza di 2 anni più giovane. Anch’ella è una persona riservata e schiva e tra di loro è nata subito un’ottima sintonia. Dopo altri 3 mesi Matteo decide di andare a vivere da solo: ha bisogno di rendersi autonomo dalla sua famiglia. Questo avvenimento lo spinge ad interrompere le nostre sedute per una questione economica. Entrambi sappiamo che il lavoro da fare insieme non è terminato del tutto ma sono consapevole del fatto che Matteo abbia acquisito nuovi strumenti per muoversi nel mondo e per prendere decisioni nuove che lo portino a scrivere un finale diverso del suo copione di vita.
In effetti, il disturbo depressivo persistente, a differenza del disturbo depressivo (anche di quello maggiore) ha la caratteristica di essere, appunto, cronico: l’individuo distimico non ricorda un evento scatenante del suo malessere, egli si descrive come una persona che "è sempre stata così”. Per tale motivo Matteo nutriva scarsa fiducia che le cose potessero cambiare: egli, a differenza di Armando, non aveva una chiara visione di se stesso prima della (e quindi, senza la) depressione.
La depressione l'aveva sempre accompagnato.
Matteo vive con i genitori ed un fratello più giovane di 7 anni. Ha un lavoro precario come operaio in un’industria farmaceutica. Riporta come le sue giornate passino senza che egli sperimenti piacere, non ha interessi specifici, non ha molti amici all'infuori di un paio di amici di infanzia che frequenta saltuariamente. Ha avuto in passato, quando aveva 23 anni, una relazione con una ragazza sua coetanea che però è terminata abbastanza rapidamente. Le ragioni che l’hanno fatto decidere di iniziare una psicoterapia hanno a che fare con il suo livello di ansia che negli ultimi mesi ha raggiunto per lui livelli insopportabili. Afferma di esser sempre stato una persona ansiosa ma non gli era mai capitato che questa, l’ansia, lo accompagnasse dal mattino a sera per tutti i giorni della settimana.
Sta seguendo una cura farmacologica a base di ansiolitici ed un antidepressivo che però, afferma, non gli stia portando i benefici sperati. Infatti, dopo alcune settimane, deciderà di interromperla.
Matteo è sempre stato un bambino molto sensibile e molto solo: i suoi erano spesso lontani per lavoro ed egli passava molto tempo dai nonni materni verso i quali non ha mai mantenuto un rapporto affettuoso: li descrive eccessivamente rigidi. Ha sempre avuto pochi amici ed a scuola era uno studente dal rendimento sufficiente.
La terapia con Matteo è risultata essere molto provante e difficile: egli aveva forti resistenze al cambiamento ed una spiccata capacità di smontare ogni tipo di intervento: voleva dimostrare che non ci fosse proprio nulla che potesse sollevarlo dal suo stato. Eppure, non ha mai saltato una sola seduta. Perché, in fin dei conti, Matteo cercava in me un alleato a quella parte di sé che non voleva arrendersi: a 35 anni era ancora troppo giovane per rinunciare a vivere.
Così via via, dopo alcuni mesi, ha iniziato ad apportare piccoli cambiamenti alla sua vita mantenendo, comunque, il suo atteggiamento sarcastico e svalutante. Ha ripreso a giocare a calcetto al giovedì, si è iscritto ad un gruppo Facebook che si ritrova regolarmente per serate al cinema. Piccoli cambiamenti che non hanno modificato il suo umore e la sua fiducia nel futuro. Ma erano, comunque, dei cambiamenti.
Dopo circa 10 mesi, ha cominciato a sentire dentro sé una forte rabbia: l’ha riconosciuta come la fonte del suo sarcasmo, delle sue battute caustiche, dell’autodisprezzo sempre molto acceso. Ed ha iniziato a dirigerla fuori di sé diventando più irascibile.
Col passare delle settimane ha cominciato ad accorgersi di quanto la sua solitudine vissuta da bambino l’abbia condizionato facendogli credere di non meritare altro che quella. Si è accorto che si è sempre autoaccusato della lontananza dei suoi genitori, come se nella sua testa di bambino, egli abbia voluto credere che essi gli stavano lontani perché arrabbiati con lui o da egli delusi.
Ha iniziato così a vedere la sua storia con occhi diversi. Ed ha smesso di disprezzare la terapia e, soprattutto, se stesso.
Follow up
A distanza di 18 mesi dal primo incontro, Matteo ha iniziato a frequentare una ragazza di 2 anni più giovane. Anch’ella è una persona riservata e schiva e tra di loro è nata subito un’ottima sintonia. Dopo altri 3 mesi Matteo decide di andare a vivere da solo: ha bisogno di rendersi autonomo dalla sua famiglia. Questo avvenimento lo spinge ad interrompere le nostre sedute per una questione economica. Entrambi sappiamo che il lavoro da fare insieme non è terminato del tutto ma sono consapevole del fatto che Matteo abbia acquisito nuovi strumenti per muoversi nel mondo e per prendere decisioni nuove che lo portino a scrivere un finale diverso del suo copione di vita.