Caso clinico - Episodio depressivo maggiore
Armando 54 anni, arriva in studio letteralmente spinto dai suoi familiari. Vive con la moglie e due figli di 28 e 26 anni. Ha lavorato per circa 30 anni come impiegato presso un’azienda metalmeccanica poco distante dalla propria abitazione. Da 2 anni è disoccupato.
Dopo la perdita del lavoro ha iniziato a soffrire di ansia generalizzata ed ha iniziato un trattamento farmacologico con scarsi risultati. In seguito sono comparsi i primi sintomi depressivi – abbassamento del tono dell’umore, perdita di interesse, perdita dell’appetito, irritabilità e pensieri negativi – che perdurano tutt’oggi.
Armando afferma di essere depresso, di non riuscire a fare le cose che faceva prima. Descrive problemi a concentrarsi e difficoltà a ricordare le cose. Si colpevolizza per "quello che sono diventato” affermando di essere solo un peso per i suoi familiari. Non riesce ad immaginare una via d’uscita alla sua situazione.
Seppur a fatica, vista la sua scarsa convinzione per un esito positivo e in maniera inizialmente compiacente verso i propri familiari, iniziamo un percorso di psicoterapia. Parallelamente, a seguito di una visita psichiatrica, inizia una cura farmacologica.
Le prime settimane e i primi mesi sono faticosi: le sedute si susseguono, sembra, senza uno scopo preciso. Lavoriamo sulle credenze disfunzionali, sul peso che la perdita di lavoro ha avuto per l’esordio della sintomatologia, sulla propria fragilità che era già presente prima dell’episodio scatenante. Via via, Armando arriva alle sedute senza bisogno di essere accompagnato e forzato: i nostri incontri iniziano ad essere per lui un appuntamento importante della settimana a cui non vuole mancare.
Esattamente dopo 6 mesi, Armando decide di riprendere a fare attività fisica, "giusto per fare qualcosa”. Il sonno risulta essere ancora interrotto e le giornate sempre troppo lunghe. In seguito, accanto alla corsa, ritrova parte del suo appetito che aveva perduto e riporta che in casa i suoi familiari lo trovano diverso: non vuole più essere rimproverato e reagisce con veemenza quando ciò avviene. Questo per me è un buon segno: significa che dentro di sé sta lavorando su quell'atteggiamento fortemente auto-giudicante che da sempre lo perseguita.
Ad un anno di distanza dal nostro primo incontro, Armando decide di cercare un nuovo lavoro.
Dopo ulteriori 6 mesi, a fronte di un ritrovato e sufficiente tono dell’umore, cambia terapia farmacologica, diminuendo la quantità di farmaci. Trova un lavoro, non interessante come il precedente ma riesce ad accettare il fatto che quel di cui ha bisogno è di rimettersi in pista.
Dopo 2 anni che io e Armando ci siamo conosciuti, egli ha ritrovato il suo senso dell’umorismo ed ha riscoperto una certa leggerezza nell'affrontare la vita quotidiana. Non vuole ancora interrompere la terapia sebbene io ritenga che potrebbe farlo visto il ritrovato equilibrio psicologico. Sente ancora il bisogno di
lavorare su alcuni aspetti di sé che lo rendono fragile di fronte a certi eventi traumatici e ai cambiamenti.
Decidiamo allora di dilazionare i nostri incontri e passare ad una frequenza quindicinale.
Follow up
Con Armando ci siamo salutati definitivamente dopo 28 mesi di terapia.
Questa durata risulta essere coerente per questo tipo di disturbo. Armando presentava una buona capacità introspettiva accompagnata ad un’ottima capacità di mettersi in discussione.
In altre situazioni, anche più gravi di questa, gli esiti non sono così ottimistici. In quelle situazioni il paziente può comunque raggiungere un adeguato equilibrio psicologico e ritrovare una sufficiente qualità di vita.
Dopo la perdita del lavoro ha iniziato a soffrire di ansia generalizzata ed ha iniziato un trattamento farmacologico con scarsi risultati. In seguito sono comparsi i primi sintomi depressivi – abbassamento del tono dell’umore, perdita di interesse, perdita dell’appetito, irritabilità e pensieri negativi – che perdurano tutt’oggi.
Armando afferma di essere depresso, di non riuscire a fare le cose che faceva prima. Descrive problemi a concentrarsi e difficoltà a ricordare le cose. Si colpevolizza per "quello che sono diventato” affermando di essere solo un peso per i suoi familiari. Non riesce ad immaginare una via d’uscita alla sua situazione.
Seppur a fatica, vista la sua scarsa convinzione per un esito positivo e in maniera inizialmente compiacente verso i propri familiari, iniziamo un percorso di psicoterapia. Parallelamente, a seguito di una visita psichiatrica, inizia una cura farmacologica.
Le prime settimane e i primi mesi sono faticosi: le sedute si susseguono, sembra, senza uno scopo preciso. Lavoriamo sulle credenze disfunzionali, sul peso che la perdita di lavoro ha avuto per l’esordio della sintomatologia, sulla propria fragilità che era già presente prima dell’episodio scatenante. Via via, Armando arriva alle sedute senza bisogno di essere accompagnato e forzato: i nostri incontri iniziano ad essere per lui un appuntamento importante della settimana a cui non vuole mancare.
Esattamente dopo 6 mesi, Armando decide di riprendere a fare attività fisica, "giusto per fare qualcosa”. Il sonno risulta essere ancora interrotto e le giornate sempre troppo lunghe. In seguito, accanto alla corsa, ritrova parte del suo appetito che aveva perduto e riporta che in casa i suoi familiari lo trovano diverso: non vuole più essere rimproverato e reagisce con veemenza quando ciò avviene. Questo per me è un buon segno: significa che dentro di sé sta lavorando su quell'atteggiamento fortemente auto-giudicante che da sempre lo perseguita.
Ad un anno di distanza dal nostro primo incontro, Armando decide di cercare un nuovo lavoro.
Dopo ulteriori 6 mesi, a fronte di un ritrovato e sufficiente tono dell’umore, cambia terapia farmacologica, diminuendo la quantità di farmaci. Trova un lavoro, non interessante come il precedente ma riesce ad accettare il fatto che quel di cui ha bisogno è di rimettersi in pista.
Dopo 2 anni che io e Armando ci siamo conosciuti, egli ha ritrovato il suo senso dell’umorismo ed ha riscoperto una certa leggerezza nell'affrontare la vita quotidiana. Non vuole ancora interrompere la terapia sebbene io ritenga che potrebbe farlo visto il ritrovato equilibrio psicologico. Sente ancora il bisogno di
lavorare su alcuni aspetti di sé che lo rendono fragile di fronte a certi eventi traumatici e ai cambiamenti.
Decidiamo allora di dilazionare i nostri incontri e passare ad una frequenza quindicinale.
Follow up
Con Armando ci siamo salutati definitivamente dopo 28 mesi di terapia.
Questa durata risulta essere coerente per questo tipo di disturbo. Armando presentava una buona capacità introspettiva accompagnata ad un’ottima capacità di mettersi in discussione.
In altre situazioni, anche più gravi di questa, gli esiti non sono così ottimistici. In quelle situazioni il paziente può comunque raggiungere un adeguato equilibrio psicologico e ritrovare una sufficiente qualità di vita.